Rai, quel pasticciaccio di Viale Mazzini tra ingerenze politiche e irresponsabilità. Conquiste del lavoro 25 Novembre 2014

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di Elia Fiorillo

            La “società civile” fu chiamata in aiuto dal Pd di Bersani per la nomina di due consiglieri di amministrazione della Rai: l’ex magistrato Gherardo Colombo e Benedetta Tobagi. L’immagine negativa dell’eterna lottizzazione dei partiti pesava sulla Rai e, allora, ci s’inventò la scelta extrapolitica.  Che poi, a guardar bene, era un escamotage dimostratosi tale proprio in questi giorni. Sia Tobagi che Colombo, all’atto del loro voto favorevole per il ricorso al Tar contro il prelievo forzoso da parte del Governo di 150 milioni, si sono visti sparare addosso proprio dal Pd. Altro che società civile, i posti erano in quota democrat e, quindi, non si poteva votare contro l’Esecutivo a guida renziana.  Ma quel prelievo si poteva fare? Sembra proprio di no a detta di alcuni costituzionalisti intervistati in proposito: i soldi introitati con il canone vanno spesi per la Rai e basta. Semplice questione di legalità. Ugualmente sul fronte di Forza Italia qualcosa non ha funzionato. L’ordine del giorno presentato da Antonio Verro – area Fi – non ha avuto il consenso di Luisa Todini, che all’epoca delle nomine fu designata dal Pds e Lega. Per l’attuale presidente delle Poste “non si può fare ricorso contro il proprio azionista”. E se quest’ultimo sbaglia? La signora Todini dichiara che: “È per una questione di moralità che lascio la consigliatura Rai: quella del Cda è una decisione irresponsabile… ” Non si comprende perché l’attuale presidente delle Poste non si sia dimessa all’atto dell’incarico avuto dal Governo Renzi, si sarebbe risparmiata un’arrabbiatura contro i colleghi del Cda, e anche forse problemi con chi la designò.

            Ci sono i dietrologi che pensano che la paura, tra l’altro, abbia mosso i consiglieri anti prelievo. Il terrore che qualche “autorità” – fra qualche anno – potesse contestare l’accettazione (illegale?) del trasferimento dei 150 milioni. È vero che son soldi dirottati dal Governo per altre cause, ma non si sa mai nel nostro bel paese in cui i confini tra il legale e l’illegale si misurano in base ai colori delle maggioranze politiche.  In tal senso può essere letto il voto contrario di Marco Pinto, designato a suo tempo dal ministero dell’Economia del Governo Monti. Insomma, ognuno in questa storia ha le sue buone ragioni, personali e politiche, per aver scelto il “si” o il “no” all’Ordine del giorno del consigliere Verro. Sarebbero stati smentiti dal voto a maggioranza del Cda Rai contro il prelevamento quelli che vedevano nel taglio dei fondi un codicillo del Patto del Nazareno sulla tivù pubblica: tenere ferma la Rai per favorire Mediaset. Un pensierino di tal genere fu attribuito anche a Pier Luigi Bersani.

            Tutti d’accordo, invece, sull’operazione RaiWuay – la rete dei ponti che trasmette il segnale – quotata in borsa proprio il giorno delle divisioni del Cda, che ha fatto registrare un +4,68%. Ma con la Borsa non si scherza e il segno “più” si può trasformare in un “meno” in tempi minimi se non c’è impegno e coerenza nella gestione aziendale.

            In fatto di senso della notizia il presidente-segretario Renzi non è secondo a nessuno, nemmeno all’ex Cav. Silvio Berlusconi inventore della “mediaticità” coniugata con la politica. Il caso Cda Rai è già storia del passato, soppiantata dall’annuncio delle novità che riguardano appunto il futuro Servizio pubblico. Canone pagato da tutti – e dimezzato – nella bolletta dell’elettricità.  Non più un direttore generale ma un amministratore delegato. Un Cda non lottizzato ma composto da cinque esperti del settore scelti in una rosa di “competenti” votati a Camere riunite. Insomma, una vera e propria rivoluzione. Tutto ciò entro pochi mesi, prima della scadenza dell’attuale Cda.

            A piazza dell’Indipendenza, a Roma, al civico cinque, a pochi passi dal Palazzo dei Marescialli, sede del CSM, c’è la casa dove visse e morì Tommasi di Lampedusa, l’autore del Gattopardo. Si legge sulla targa che lo ricorda: “Se vogliamo che tutto rimanga come è bisogna che tutto cambi”.  Auguriamoci che per la Rai non sia così, ma anche… per la riforma della Giustizia.

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