Legislazione e legalità. Se ne discute al Festival della sociologia di Narni, ottobre 2019. Stefano Sepe – Ersilia Crobe

La legge e le leggi: un continuum spezzato. L’ossimoro è funzionale ad evidenziare un problema: lo scarto tra i caratteri ideali della legge scritta e le leggi che vengono emanate in un determinato contesto storico e in un determinato ambito spaziale. Nel Regno unito, mezzo secolo fa, il Lord Chancellor nominò una Law Commission per affrontare il problema della vastità e della complessità del sistema normativo (leggi, legislazione delegata, giurisprudenza). Complessità che rendeva “estremamente difficile, per chiunque non avesse una preparazione professionale, individuare la norma attinente a ciascun caso concreto”[1]. L’esigenza che le norme giuridiche fossero “dichiarate pubblicamente, così da permettere al cittadino una facile individuazione della propria posizione giuridica” implicava che essere fossero “espresse in forma intellegibile”[2]. Due decenni prima George Ripert, riferendosi alla legislazione francese, aveva addossato all’enorme numero delle leggi, alla loro inutile minuziosità, alle difficoltà che esse producevano ai cittadini, la causa del Declin du droit[3].

In riferimento all’ordinamento del Regno Unito è stato sostenuto che “le leggi devono essere espresse in regole generali giacché uno dei fini precipui del diritto è quello di evitare che i fenomeni umani vengano definiti in modo arbitrario per scopi particolaristici. Per quanto possibile questo carattere di generalità delle regole deve essere preservato mediante la loro formulazione in maniera chiara e precisa, sgombra da eccezioni o motivazioni connesse. Ciò è soprattutto importante nel caso della legge. […] È per questo che la chiarezza con cui è espressa la legge resta intimamente connessa al livello di fiducia reciproca esistente fra legislatori e giudici”[4]. Nel nostro Paese la dottrina giuridica – pur nell’ampiezza e varietà delle formulazioni dottrinarie, pur nell’articolato evolversi dell’elaborazione teorica – ha sempre posto la  centralità (negli Stati di diritto, in particolare nelle democrazie) della legge scritta come fonte della legalità degli ordinamenti e, nel contempo, come elemento che serve a confermare e dare sostanza alla loro legittimazione nei confronti dei cittadini. Un principio che fa della legge una sorta di bussola perpetua (come fonte, non come prodotti) dell’ordinamento.

Legislazione “flessibile” come dimensione del reale e come fenomeno da analizzare. Dentro questo involucro si intrecciano problemi complessi che toccano la legalità, la certezza del diritto, le dinamiche dei processi decisionali, la qualità stessa delle democrazie. Fenomeno che trova la sua origine nella crisi dello Stato di diritto e nella progressiva perdita di quota del ceto politico, non più in grado di mantenere elevato il vello della normazione. Con i conseguenti rischi di inficiare la logica stessa della legislazione quale presidio della legalità e della legittimità stessa del sistema del quale il complesso delle norme è espressione.

La legislazione “flessibile” – per oggettiva esigenza ovvero per inadeguatezza dei decisori politico/istituzionali – rappresenta uno degli aspetti più evidenti della trasformazione degli Stati di diritto, in conseguenza della crescente complessità dei fenomeni da governare. L’esigenza di adeguare gli apparati amministrativi e gli strumenti di governo alle mutate esigenze sociali è uno dei caratteri generali della complessiva traiettoria di riforma dei sistemi pubblici. In particolare, l’idea che gli organi rappresentativi, rilevata l’emersione di dinamiche e bisogni presenti nella società debbano farsi carico di ideare, progettare e realizzare soluzioni è elemento fondante dello stesso patto sociale. Così, ad esempio, nell’esperienza italiana, l’impetuoso sviluppo industriale di inizio ’900 e, insieme, i rilevanti cambiamenti sociali avvenuti in quello stesso periodo, furono accompagnati da importanti sperimentazioni in campo amministrativo. Negli anni a cavallo tra i due secoli le amministrazioni pubbliche riuscirono ad assecondare lo sviluppo socio-economico del Paese, divenendo nell’insieme un elemento trainante del decollo economico e dei cambiamenti sociali avvenuti in quel lasso di tempo.

Oggi, in un rinnovato contesto politico-istituzionale e di rafforzata democraticità dei sistemi pubblici, che le soluzioni individuate dai decisori politici siano di adeguata qualità è un requisito ancor più imprescindibile. In democrazia la legittimazione dei governanti è – e lo è sempre più – basata sulla “responsiveness”, cioè sulla capacità di soluzione dei problemi collettivi e – vale forse la pena precisarlo – soltanto nell’ambito di una concezione rappresentativa della politica ha senso porsi il tema dei risultati del processo politico.

Di questi problemi si parla il 12 ottobre al Festival della Sociologia di Narni, a partire dal libro Legislazione flessibile. Certezza del diritto, legalità, buon governo, a cura di Stefano Sepe ed Ersilia Crobe, per la collana Agonalis dell’Istituto di studi politici San Pio V (Editoriale Scientifica, 2019).


[1] Citato in P. Stein – J. Shand, I valori, cit., p. 85, i quali scrivevano: “

[2] Ibidem.

[3] G.Ripert, , Le déclin du droit, Paris, 1949.

[4] P. Stein – J. Shand, I valori giuridici della società occidentale, Milano, Giuffrè, 1981, pp. 84-85