Il sindaco di Riace e la legalità ignorata di E. Fiorillo

In un’Italia sempre più populista, dove il tifo da stadio troppo spesso prende il sopravvento sulla ragione, poteva passare sotto silenzio la storia del sindaco di Riace spedito agli arresti domiciliari? No, non poteva. È la classica vicenda dove la “ragione” viene ottenebrata dai sentimenti, dalle passioni, soprattutto dalle “appartenenze”. Se Matteo Salvini si scaglia contro il “sindaco dell’accoglienza” degli immigrati, la sinistra batte le mani a Domenico Lucano che ha trasformato Riace nella comunità più ospitale d’Italia per tanti poveri cristi. Nessun problema se Lucano avesse spalancato le porte della sua città rispettando ed applicando la legge. Pare però che non sia andata così. Per “far del bene” ha forzato le regole del gioco. Nessun guadagno personale, nessun arricchimento illecito per sé ed i suoi, solo “forzature” a fin di bene.

 

Quei matrimoni fatti celebrare tra anziani inconsapevoli e donne straniere in cerca di cittadinanza erano fatti in “buona fede”, per “risolvere un problema”, per accogliere un essere umano che tante sofferenze aveva già subito nel corso di una travagliata vita. Il “bene degli altri” prima di tutto, dei “più poveri tra i poveri”. Certo, la forzatura alle regole c’è stata, ma lo scopo era nobile. Una “disobbedienza civile” osannata o criticata dagli opposti estremismi.

 

L’eterna domanda si ripropone: “Il fine giustifica i mezzi?”. La risposta, al solito, corrisponde agli interessi delle fazioni in campo. “Sì'” imperativo per i buonisti, “no” categorico per gli altri. Eppure, in uno stato di diritto come il nostro, non ci dovrebbero essere dubbi. Prima di tutto la legalità. Si fa solo quello che dice la norma imperativa, giusto o sbagliato che sia secondo il nostro senso etico: “È la Legge”.

 

Il Gip di Locri, Domenico di Croce, ha incriminato il sindaco di Riace per “favoreggiamento dell’immigrazione”, declassando di molto le accuse che la Procura della Repubblica, in 1200 pagine, aveva rivolto a Lucano. C’erano anche accuse di concussione, associazione per delinquere, truffa. Poteva avere le migliori intenzioni il sindaco nei riguardi dei migranti, ma non ci sono giustificazioni che tengano per certe operazioni che ha messo in essere ignorando volutamente la norma imperativa.

 

Certo, fare leva sui migranti per ripopolare luoghi, borghi, per riportare la vita in realtà già morte civilmente è una gran bella cosa. La rinascita di Petruro Irpinio ad opera della Caritas o di Castel del Giudice sono esempi da seguire perché in situazioni del genere gli emigranti possono fare molto. Possono mettere in moto, anche attraverso cooperative sociali, l’economia locale facendo ritornare giovani del posto emigrati per mancanza di futuro. Tutte operazioni meritorie sempre che vengano condotte nell’ottica della legalità che per nessun motivo, anche i più nobili, può essere aggirato, o rimosso, o interpretato a proprio uso e consumo.

 

Nella vicenda del sindaco Lucano la spinta verso il “bene” dei migranti si è trasformata in una sorta di dittatura personale che ha portato alla creazione di “bonus” come moneta parallela dei migranti, laboratori solidali come volano per creare lavoro e via proseguendo. Tutte cose interessanti, meritevoli, se non fossero nate in una situazione di pericolosa disinvoltura amministrativa dove il principio di legalità era soppiantato da quello della “giusta causa”, del “bisogno” degli ultimi. Un sindaco, anche se spinto dai principi più nobili non può ignorare la legge, né aggirarla. Il rischio è che tutte le cose buone che è riuscito a mettere in essere svaporino come neve al sole. Potenziando le fazioni avverse, i sovranisti che sono costretti dalla legge a accettare gli immigrati, quando farebbero di tutto per non accoglierne nemmeno uno. Il pericolo più grave per il principio di legalità è che venga esibito a turno, da una parte contro l’altra, fino a giungere al punto che – di fronte alla necessità di applicazione della legge, “eguale per tutti” – ciascuno decida di chiamarla ingiusta e di disobbedirle se contrasti con le proprie convinzioni, facendosi legislatore a seconda delle opinioni politiche, personali o di gruppo professate.

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