La rivoluzione digitale in Italia tra regole e cultura: il ruolo dei poteri pubblici

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Da anni in Italia si combatte una battaglia sociale – interna ed esterna alla Pubblica Amministrazione – sul terreno della legalità.  Per fronteggiare i problemi emersi nel corso degli anni, il legislatore si è concentrato sulla trasparenza delle azioni amministrative, sull’efficacia e sulla chiarezza della comunicazione nei confronti dei cittadini,  per favorire il progressivo miglioramento del modo in cui questi possono partecipare al processo decisionale e quindi controllare l’azione amministrativa. Con tutta evidenza tale obiettivi sono finalizzati a garantire (o, almeno, favorire) la legalità nell’azione dei poteri pubblici.

Questa nota nasce dopo la lettura del testo, curato da Caterina Cittadino, “L’Italia Digitale. L’organizzazione, le priorità, i Principi. Commento alle principali novità del CAD”, volume che lucidamente analizza in maniera puntuale, quelle che il legislatore ha inteso come necessità su un percorso che mira a  difendere cittadini e istituzioni dallo sviluppo dei germi dell’illegalità. Il volume analizza attentamente la legge del 4 aprile 2012, la c.d. “Semplifica Italia”, che si pone l’obiettivo di “rendere la PA più trasparente e più efficiente”. Qui un primo punto di riflessione: la spinta all’amministrazione trasparente non va intesa come un vezzo populista fine al controllo sull’etica dell’attività politica ma come una necessità che deve partire dall’interesse pubblico e dal fatto che le decisioni, le voci di spesa devono essere chiare e comprensibili al cittadino. La trasparenza, deve essere vista quindi come metodo per  il riavvicinamento dei cittadini alle istituzioni; cittadini che, non solo per ignoranza politica o visione semplificata della realtà, spesso imputano alle Istituzioni colpe reali.

Come scrive Caterina Cittadino, molti sono i punti interessanti del CAD, fondamentali per dotare le Pubbliche amministrazioni ed i cittadini di strumenti innovativi per il contrasto  dell’illegalità utilizzando gli strumenti della trasparenza. Occorre, nel contempo, tener conto che fenomeni esogeni hanno impresso una forte accelerazione all’attenzione dello Stato sui temi di legalità e trasparenza, producendo, dalla stesura del “Semplifica Italia” e del testo all’oggetto si questa riflessione, altri due provvedimenti inerenti: la legge 190/2012, “ Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione” e il decreto legislativo n. 33/2013, “Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni”, la seconda proseguimento della prima.

 

L’analisi della situazione in materia di trasparenza della PA in Italia, oggi, non può quindi prescindere da questi due testi. Ciò che però interessa, in questa sede, è capire quali siano le linee tracciate dai decreti succitati in materia di trasparenza e legalità, ma soprattutto come saranno recepiti dalla Pubblica Amministrazione e quali cambiamenti è possibile immaginare nel prossimo futuro.

Il primo punto riguarda gli investimenti che il nostro Paese deve affrontare per colmare il problema  del digital divide, leva strutturale del cambiamento, passaggio iniziale a che gli strumenti messi in campo non siano considerati elitari. Più moderna e di indirizzo europeista la volontà, entro il 2020, di realizzare e gestire i servizi della PA in modalità cloud computing. Questo permetterà, sul lungo periodo un risparmio di risorse e spazi da parte degli uffici pubblici (da questo punto di vista, tra i primi, il Comune di Firenze recentemente ha operato pionieristicamente in questo senso). La PA, visti i numerosi tentativi di legiferare in materia, ha da tempo mosso i primi passi verso la trasparenza dei propri atti, che oltre a fungere da arma contro l’illegalità attraverso il controllo sociale dovuto dall’accesso dei cittadini alle informazioni, ha la funzione di migliorare l’accountability dei manager pubblici, migliorare le performance degli uffici, abilitare nuovi meccanismi di partecipazione e collaborazione tra PA e cittadini. Inoltre il decreto trasparenza dovrebbe avere la funzione di riordinare gli obblighi di pubblicazione derivati dalle normative stratificate nel corso degli anni e uniformarli per tutte le Pubbliche amministrazioni, definire ruoli, responsabilità e processi in capo alle PA e agli organi di controllo.

La Bussola della Trasparenza”, ad esempio, è sicuramente lo strumento principale fornito dallo Stato a servizio del cittadino in materia di valutazione delle Pubbliche amministrazioni che seguono le linee del decreto n.33/2013. Lo strumento è stato realizzato dal Dipartimento della Funzione Pubblica ed è attivo da aprile 2013.  La Bussola si rivolge sia alle PA tracciando il percorso verso i principi stabiliti dal decreto trasparenza; sia ai cittadini, rendendo possibile in tempo reale, la valutazione e l’analisi degli strumenti messi a disposizione e la loro conformità alle norme.

Prima di procedere nell’analisi, occorre soffermarsi su un punto di fondamentale importanza per comprendere limiti e differenze di due termini, che in maniera del tutto impropria, spesso vengono usati come sinonimi. Parliamo di E-government e Open-government. Il primo è il sistema di gestione digitalizzato della PA che consente di gestire i procedimenti, trattare e archiviare documentazioni grazie all’uso di tecnologie digitali  applicate agli strumenti dell’informazione e della comunicazione. Il secondo, invece, si usa per definire un modello di governance che fa dell’apertura, della trasparenza e della partecipazione proattiva dei cittadini, le sue peculiarità.

Le nuove tecnologie della comunicazione nell’ambito dell’operato della PA (Egovernment) quindi, sono il primo e fondamentale strumento per attuare l’Open government, l’unico metodo per attuarlo e renderlo sostenibile sia dal punto di vista tecnico che da quello economico. Ma regole e strumenti non fanno necessariamente cultura. Non è imponendo alla PA  norme che determinano obblighi (vedi quanto successo con la 150/2000) che si infonde la cultura della trasparenza e dell’apertura al confronto continuo con il cittadino.

Un esempio esplicativo (verificabile utilizzando i dati proposti da La Bussola) è quello degli obblighi assolti dalle pubbliche amministrazioni in materia di trasparenza: relativamente semplice ottenere la messa on line degli  albi pretori (5.927 su 10.734 enti)  si fa ancora molta difficoltà, in qualsiasi parte del paese, ad ottenere la pubblicazione dei bilanci (2.118 su 10.734) Ben l’81% delle PA pubblica informazioni di ordine generale, il 64% utilizza la Posta elettronica certificata ma soltanto il 21% di questi rende pubblico  l’ organigramma interno e solo il 16% i procedimenti attivi.

Da ciò cosa possiamo evincere? Che vengono rese disponibili con una certa facilità quelle informazioni che non obbligano le amministrazioni a cedere una parte della loro sovranità. Vengono veicolate informazioni fini a se stesse, che non portano al dirado della nebbia burocratica che da sempre ha avvolto le istituzioni, lasciando dunque invariato il paradigma che il legislatore  si proponeva di modificare. Manca, come si vede, una cultura della trasparenza e della condivisione. Ma non si pensi che questa lacuna sia ascrivibile in maniera esclusiva allo Stato e ai suoi prolungamenti; c’è una fetta di responsabilità ascrivibile anche all’atteggiamento del cittadino che, complice la sfiducia verso le istituzioni e l’astio maturato nei confronti della politica, per troppi anni si è disinteressato della gestione della cosa pubblica, riscoprendosi tardivamente severo controllore.

È evidente che non sarà possibile infondere una cultura della trasparenza nelle amministrazioni e nei relativi processi che esse si trovano a determinare se, oltre a definire le regole del gioco non chiariremo a che scopo finale queste possono assolvere. Forse, alla richiesta di introduzione delle norme dovrebbe essere affiancato un puntuale percorso formativo che possa illustrare a dirigenti e funzionari quanto l’applicazione delle medesime possa portare benefici di tipo gestionale sul lungo periodo, e relazionale nell’immediato. Istituzioni e amministrazione, implicitamente, assolveranno così  al compito di alfabetizzare civicamente e tecnologicamente i cittadini, per i quali trasparenza dovrà essere sinonimo di relazione, interazione, semplicità e inclusione. Forse solo così si attuerà il cambio di paradigma che vorrebbe trasformare le “roccaforti della PA” in palazzi di vetro dalle porte spalancate. Così, in linea con quanto ci chiede l’Europa. E il buon senso.

 

Dott. Andrea Gianassi

 

 

 

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