Emergenza legalità a Napoli

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Il drammatico evento dell’uccisione di un diciassettenne ha fatto passare in secondo piano le circostanze che l’hanno generata (e che potrebbero riprodursi, sperando che quando dovesse accadere non si giunga più ad esiti così tragici) e soprattutto l’impatto che esse rappresentano per la cultura della legalità. Intervistato da due conduttori di una trasmissione di Radio24 –molto seguita anche dai giovani – l’avvocato incaricato di rappresentare le ragioni della famiglia dello scomparso ha usato espressioni che sarebbe stato meglio non fossero pronunciate.

Dichiarazioni simili, che pretenderebbero di fotografare la realtà sociale di luoghi attraversati da profondo disagio sociale nel Mezzogiorno, lasciano sgomenti perché ci costringono a chiederci se esse mirino a ritenere impraticabile ogni possibilità di investire sulla educazione alla legalità, troppo spesso esibita come un trofeo, o un impegno senza alternative, nei discorsi di circostanza dopo eventi drammatici. Il signore intervistato per conto della famiglia – per paradosso qualificato, con involontaria ironia, come legale – ha sostenuto senza timore né vergogna che <<è cosa normale andare in motorino senza casco e senza documenti>>, e che questo deve comportare la rinuncia a qualsiasi controllo da parte delle forze dell’ordine, perché potrebbe scaturirne una situazione pericolosa, come è accaduto in questa circostanza. Il singolare rovesciamento, per cui la responsabilità delle conseguenze ricade non su chi ha creato la situazione illegale, ma su chi cerca di ripristinare la legalità, genera alterazioni abnormi nella percezione della legalità come osservanza delle regole comuni necessarie al buon vivere, specialmente in aree già “difficili”.

L’impegno solenne preso dalle istituzioni democratiche di non lasciare alcun territorio privo della tutela e della presenza dello Stato è stato in questa occasione dimenticato, tanto che le forze dell’ordine hanno dovuto celarsi e far sparire ogni segno di presenza nel rione Traiano, con la conseguenza che interi territori si rischia che vengano riconsegnati al dominio “sociale” della camorra, rassegnati a restare campo libero per prepotenza e delinquenza. Inquietante segnale che ciò avviene è la comparsa di una folla di testimoni quando si tratti di eventi che vedono implicate le forze dell’ordine, verso le quali scoppia la rivolta, mentre si deve fare la non imprevista ma amara constatazione che una uccisione ad opera della camorra o della delinquenza comune non solo non genera alcuna ribellione ma neppure un testimone. Anche le ragioni della prudenza – che hanno indotto il Comandante dei carabinieri di Napoli a sottostare alle intimidazioni che gli hanno imposto di levarsi il berretto – hanno segnato in questo caso la resa delle istituzioni, per quanto accompagnate dalla timida giustificazione del “segno di rispetto per il povero giovane deceduto”, e fanno il paio con le ragioni esibite al momento della resa delle istituzioni in uno stadio famoso di fronte alle intimidazioni di “Genny a’ carogna”, per evitare conseguenze che lo  Stato confessa di non poter controllare, quasi dichiarando la propria debolezza verso chi apertamente dichiara il suo disprezzo per la legge.

Dunque se lo Stato visibilmente e simbolicamente cede il terreno e rinuncia alla sua presenza, rafforzando l’opinione che siano leciti solo i comportamenti che sfrontatezza e prepotenza suggeriscono – finendo per lasciare indifesi i cittadini che invece intendono rinunciare all’illegalità manifesta ed occulta, sperando nella difesa della forza pubblica, capace di sostituire la debolezza privata, destinata a soccombere alla prepotenza dei violenti – di quale legalità si potrà parlare in territori in cui la formazione alla illegalità è considerata “patente” di personalità e di rispetto? Eppure proprio il terribile episodio conferma ancor più come la presenza delle forze dell’ordine non sia sufficiente a riconquistare i territori alla legalità, se l’azione di controllo non viene accompagnata da una cultura che rovesci in tempi accettabili mentalità, costumi, convinzioni devianti. L’educazione alla legalità, così precipitosamente e ferocemente ferita dalle dichiarazioni di un “legale”, resta pertanto l’unica forza – benché indifesa ed esposta ad ogni ludibrio – perché comunità finora dominate dalla illegalità e dalla inciviltà risorgano e diano speranza e futuro ai loro figli.

Giuseppe Acocella