Codice di comportamento dei dipendenti pubblici: tra etica e legalità

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Codice di comportamento dei dipendenti pubblici: tra etica e legalità

Stefano Sepe ed Ersilia Crobe

“In uno stato molto corrotto, ci sono troppe leggi”

Tacito

 

Il principio di legalità dell’attività dei pubblici funzionari trova fondamento in alcuni principi costituzionali, fondando doveri giuridici che si correlano al diritto dei cittadini e alla correttezza dei funzionari[1]. A ragione è stato osservato che “l’ordinamento democratico non può né disinteressarsi, né imporre una etica pubblica, ma deve tuttavia promuoverla, assumendola come un valore essenziale sociale e costituzionale di responsabilità personale, integrato nel sistema dei valori costituzionali, e conferendo ad essa la forma, variamente atteggiata, del dovere civico”[2]. In meritoè condivisibile il collegamento operato da Mazzarolli, il quale sottolinea che l’art. 54 Cost., comma 2, in forza del quale “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge” si può legittimamente considerare una specificazione del principio di imparzialità e buon andamento dell’organizzazione amministrativa di cui agli articoli 97 e 98 della Costituzione[3].Tali dettami, integrati con l’articolo 28, che prevede la diretta responsabilità, per i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti, compongono il quadro costituzionale di riferimento in tema di legalità ed etica pubblica.

La questione posta si ricollega direttamente al tema della validità/qualità delle democrazie contemporanee[4], poiché, se come è stato acutamente sottolineato, esiste un nesso tra etica, diritto e democrazia[5] – si può verosimilmente ampliare il concetto di etica come responsabilità nell’esercizio della rappresentanza anche ai funzionari dello Stato, che nell’espletamento dei propri compiti sono al “servizio esclusivo della Nazione” ed essa rappresentano.

Se ne può concludere che “fedeltà, onore e disciplina, al di là dei suggestivi richiami a organizzazioni e tempi ormai lontani, sono la definizione costituzionale di doveri o obblighi che si affermano negli individui in ragione di qualità o status dagli stessi acquisite”[6].

 

 

Non riconducibile alla sola corruzione (violazioni esplicite di norme di legge), il tema dell’etica pubblica è pertanto da intendersi in senso più ampio, poiché ad essa vanno fatte risalire anche comportamenti che – seppur non ascrivibili a reati penali – sono comunque espressione di maladministration (fenomeni che “vanno dai ritardi nell’espletamento delle pratiche, alla scarsa attenzione alle domande dei cittadini, al mancato rispetto degli orari di lavoro, fino alle stesse modalità di trattare le persone senza il dovuto rispetto e la necessaria gentilezza”[7]).

Come è stato giustamente osservato, “apparati anche non corrotti, possono ciò nondimeno nel loro concreto funzionamento, e anche nel comportamento dei singoli agenti, non rispondere nella loro azione ai principi dell’etica pubblica”[8]. La questione, centrale per restituire prestigio e autorevolezza alle pubbliche amministrazioni, èsullo sfondo di alcuni importanti interventi normativi recenti, tra i quali il decreto “anticorruzione”. Per il tema che qui rileva, la legge 190/2012 è intervenuta in tema di diffusione della cultura della legalità dell’attività amministrativa assegnando un ruolo importante ai pubblici dipendenti e auspicando il rafforzamento del codice di comportamento.

 

In seguito a tali previsioni, il 4 giugno 2013 è stato pubblicato, in Gazzetta Ufficiale n. 129, il Decreto del Presidente della Repubblica n. 62 del 16 aprile 2013. I codici di condotta sono un’importante strumento – ampiamente utilizzato nell’esperienza di paesi esteri e riconosciuto dalle organizzazioni internazionali e sovranazionali[9] – in tema di etica pubblica, poiché intervengono nella definizione puntuale di comportamenti dei pubblici dipendenti, “andando al di là del rispetto della legge e dell’astensione dai reati, collocandosi in quelle zone grigie che separano i comportamenti sicuramente leciti da quelli gravemente sanzionati”[10]. In sintonia con tali scopi, il nuovo codice raccoglie i principi ispiratori della legge 190/2012 ed opera, insieme, una definizione puntuale e particolareggiata di questioni concrete.

Emanato al “fine di assicurare la qualità dei servizi, la prevenzione dei fenomeni di corruzione, il  rispetto  dei doveri costituzionali di diligenza, lealtà, imparzialità e servizio esclusivo alla cura dell’interesse pubblico”[11], all’articolo 3 (Principi generali) opera un’appassionante descrizione della missione del civil servant italiano: “Il dipendente osserva la Costituzione, servendo la Nazione con disciplina ed onore” e conforma la sua condotta ai principi costituzionali del “buon andamento e imparzialità dell’azione   amministrativa”. Il pubblico funzionario “svolge i propri compiti nel rispetto della legge, perseguendo l’interesse pubblico senza abusare della posizione o dei poteri di cui è titolare”. È pertanto obbligato a rispettare “principi di integrità, correttezza, buona fede, proporzionalità, obiettività, trasparenza, equità e ragionevolezza e agisce in posizione di indipendenza e imparzialità, astenendosi in caso di conflitto di interessi” (art. 3, comma 2).

 

 

Il codice prevede una regolazione puntuale in tema di “regali, compensi e altre utilità” (art. 4), che chiarisce che ai dipendenti non è permesso chiedere, né sollecitare, per sé o per altri, regali o altre utilità. Non è lecito neanche accettare, per sé o per altri, regali o altre utilità, salvo quelli d’uso di modico valore. Il codice va a definire nel particolare il significato di “modico”, che è da intendersi con valore non superiore, in via orientativa, a 150 euro. I regali e le altre utilità eventualmente ricevuti fuori dai casi consentiti dal presente articolo, sono immediatamente messi a disposizione dallo stesso dipendente all’Amministrazione per la restituzione o per essere devoluti a fini istituzionali. L’articolo 6 è dedicato agli interessi finanziari e ai conflitti d’interesse del pubblico dipendente, obbligandolo, all’atto dell’assegnazione all’ufficio, ad informare “per iscritto il dirigente dell’ufficio di tutti i rapporti, diretti o indiretti, di collaborazione con soggetti privati in qualunque modo retribuiti che lo stesso abbia o abbia avuto negli ultimi tre anni”. Al dipendente è, inoltre, richiesto di precisare “a) se in prima persona, o suoi parenti o affini entro il secondo grado, il coniuge o il convivente abbiano ancora rapporti finanziari con il soggetto con cui ha avuto i predetti rapporti di collaborazione; b) se tali rapporti siano intercorsi o intercorrano con soggetti che abbiano interessi in attività o decisioni inerenti all’ufficio, limitatamente alle pratiche a lui affidate”. L’articolo 7 sancisce l’obbligo di astensione “dal partecipare all’adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri, ovvero di suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, oppure di persone con le quali abbia  rapporti di frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi, ovvero di soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente, ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui sia amministratore o gerente o dirigente. Il dipendente si astiene in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza. Sull’astensione decide il responsabile dell’ufficio di appartenenza”. Di particolare interesse la previsione dell’articolo 8 in tema di “Prevenzione della corruzione”, che obbliga il dipendente a rispettare le misure necessarie alla prevenzione degli illeciti nell’amministrazione introdotte dalla legge 190/2012.

È da sottolineare che nel vecchio codice[12] mancava un articolo dedicato al tema della legalità: il problema della corruzione si poteva evincere dai principi generali della norma, con la più generica enunciazione al “rispetto della legge” dell’azione dei funzionari. La previsione dell’obbligo alla trasparenza e alla tracciabilità presente in articolo 9 concorre alla definizione degli adempimenti per una piena affermazione del principio di legalità dell’attività dei pubblici funzionari. In specifico la norma obbliga all’adempimento degli “obblighi di trasparenza previsti in capo alle pubbliche amministrazioni secondo le disposizioni normative vigenti”.

È palese che la legge 190/2012, prevedendo il riordino della disciplina sugli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, tenta un raccordo tra il tema della corruzione e quello della trasparenza. Il nesso tra questi due principi dell’azione amministrativa è di così forte evidenza che non occorrerà indugiare oltremodo sul tema: sembra però opportuno riflettere su come la trasparenza amministrativa sia un principio “complesso”, contenente in sé altri diritti “particolari”, ma immanenti. Tali elementi costitutivi sono la semplificazione, la delegificazione e la chiarezza delle disposizioni di legge e del linguaggio amministrativo.

La certezza del diritto (principio giuridico cardine degli ordinamenti moderni) si è tramutata spesso in un groviglio fittissimo di prescrizioni legislative, per loro natura di difficile modifica. E, quindi, in una tendenziale paralisi operativa delle amministrazioni pubbliche a discapito della reale missione delle istituzioni politiche ed amministrative. Il tutto ha favorito un vortice autoreferenziale che non tiene conto dei diritti dei cittadini alla comprensibilità del linguaggio dei pubblici poteri.Il tema della chiarezza (o della mancata chiarezza) del linguaggio amministrativo rileva anche in previsione di tutti gli adempimenti che le norme degli ultimi anni impongono alle singole amministrazioni e alle autorità di controllo (dal Piano triennale della performance al programma triennale per la trasparenza e l’integrità previsti dal D.Lgs 150/2009, fino al Piano triennale di prevenzione della corruzione previsto dalla L. 90/2012). Senza più un obbligo di chiarezza tali strumenti potrebbero veder inficiata la loro importanza e capacità di controllo sull’attività dell’amministrazione. Ancora una volta si è scelta la strada – più comoda – di una “ipernormazione” inutile anziché mettere in opera gli strumenti di controllo già disponibili. Ancora una volta si è preferita un’amministrazione del dire, piuttosto che un’amministrazione del fare, dimenticando che il dettato normativo è soltanto il punto di partenza e che, per modificare realmente le cose occorre un impegno delle singole amministrazioni e le burocrazie pubbliche a raccogliere le sfide organizzative e culturali che le attendono.

Dagli esiti di questa sfida dipenderà il rispetto delle norme e la diffusione di una cultura della legalità dei poteri pubblici e, insieme, dei cittadini.

Al momento, tuttavia, il quadro non è incoraggiante e le prospettive ipotizzabili difficili da valutare, in particolare poiché si intravede il rischio di una “riforma burocratizzata” (oppure trasformare la riforma stessa in un adempimento burocratico). Talvolta troppenotizie, nessunanotizia, in pratica un “falso movimento”. Adempimenti spesso “confusi, rituali, ossessivi, tesi a rendere conto di un numero imprecisato di richieste del legislatore, definite in modo frammentario e destinate a una pluralità di organi di controllo che saranno a loro volta sommersi da una marea di adempimenti e che inevitabilmente produrranno sanzioni e contenzioso con un ulteriore aggravio dell’attività amministrativa non destinata a creare valore pubblico”.[13]

 

 



[1]Sul tema R. Cavallo Perin, L’etica pubblica come contenuto di un diritto degli amministrati alla correttezza dei funzionari, in F. Merloni – R. Cavallo Perin (a cura di),Al servizio della nazione, Etica e statuto dei funzionari pubblici, Milano,Franco Angeli, 2009, 147-161

[2]Così G. Sirianni, I profili costituzionali.Una nuova lettura degli articoli 54, 97 e 98 della Costituzione, in F. Merloni e L. Vandelli (a cura di), La corruzione amministrativa. Cause, prevenzione e rimedi, Passigli, 2010

[3]L. Mazzarolli, Art. 54, in S. Bartole – R. Bin (a cura di) Commentario breve alla Costituzione, 2008, p. 545.

[4]Per il dibattito contemporaneo sulla “qualità” della democrazia in un momento di grandi trasformazioni, G. Acocella, Etica, diritto, democrazia. La grande trasformazione. Il Mulino, 2011

[5]Sull’intreccio tra questi tre valori, cfr. G. Acocella, Etica, diritto, democrazia, op.cit.

[6]R. Cavallo Perin, L’etica pubblica come contenuto di un diritto degli amministrati alla correttezza dei funzionari, cit.

[7]V. Cerulli Irelli, Etica pubblica e disciplina delle funzioni amministrative, in F. Merloni e L. Vandelli (a cura di), La corruzione amministrativa. Cause, prevenzione e rimedi, Passigli, 2010

[8]V. Cerulli Irelli, ibidem

[9]Una interessante disamina dell’esperienza internazionale è in La corruzione in Italia. Per una politica di prevenzione. Analisi del fenomeno, profili internazionali e proposte di riforma, Rapporto della Commissione per lo studio e l’elaborazione di proposte in tema di trasparenza e prevenzione della corruzione nella pubblica amministrazione, 2012, pagg. 49-58

[10]Ivi, p.50

[11]Così in base all’art.54, comma 1 D.lgs 165/2001, Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n.106 del 9-5-2001, Suppl. Ordinario n. 112

[12]D.M. 28-11-2000, Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 10 aprile 2001, n. 84

[13]M. Bonaretti, La parabola del cotechino, editoriale del 16/04/2013 su www.forumpa.it

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